Registrare una grande orchestra è senza dubbio una tra le esperienze più formative per un ingegnere del suono. Essa pone delle notevoli sfide non solo a chi si occupa di suono ma anche ai tecnici video, che si devono confrontare con problematiche legate alla staticità del soggetto e alla necessaria discrezione da adottare in un contesto elegante, dove non è possibile rendere troppo evidenti attrezzature e mezzi tecnici e dove l’ultima parola è quella del direttore d’orchestra e della produzione.

Al CESMA, grazie alla più che decennale collaborazione con il Conservatorio della Svizzera Italiana (CSI), studentesse e studenti dei corsi accademici fanno almeno un paio di esperienze complete di produzione orchestrale, oltre a quelle legate ad altri ensemble strumentali e vocali. Forse la più ghiotta della stagione è la ripresa dell’evento più importante a cui i ragazzi del CSI sono chiamati a partecipare, in genere un programma di musica sinfonica piuttosto serio, sotto la direzione, spesso, di un affermato direttore di fama internazionale. Anche per noi al CESMA è quindi l’occasione più importante, e forse più complessa, dove si ha l’occasione non solo di assistere a una produzione ‘seria’ da dietro le quinte, ma ovviamente anche il dovere di documentarla nel migliore dei modi.

A chi si intende bene di queste cose suonerà un po’ strano che degli studenti siano in grado di realizzare una produzione di questo livello, ed effettivamente non è esattamente così. Va detto subito che vige una sorta di “patto” fra il Conservatorio stesso e il CESMA: dal momento che non si può pretendere che gli studenti siano a quel livello di professionalità necessario per documentare una delle forme di espressione musicale appunto fra le più complesse (così come nessuno del pubblico si aspetta di avere dai diplomandi in strumento in orchestra gli stessi risultati musicali di un’ensemble stabile e affermata), è lecito non certo il fallimento, bensì il risultato sempre onorevole (e…semi professionale) in grado di garantire un buon ascolto. Gli inevitabili errori degli studenti, e le loro necessarie ingenuità sono prevenuti o affrontati subito dagli insegnanti, affinché non ci sia un irreparabile danno al prodotto finale ma ci sia stata comunque la stessa opportunità di sbagliare.

Già, perché è proprio dall’errore che nasce la consapevolezza, e di conseguenza la conoscenza. Soprattutto in questo mestiere, si impara molto facendolo, ovviamente dopo aver ricevuto una formazione adeguata. Ma se nessuno ti dà mai l’opportunità di fare cose grandi, non imparerai mai a fare cose grandi!

Ovviamente nell’affrontare una registrazione orchestrale le variabili sono davvero tante: le dimensioni dell’orchestra, il suo organico (ovviamente determinato dal programma scelto), il suo posizionamento sul palco, le condizioni acustiche, la conformazione della sala, la presenza del pubblico, le capacità e l’indole del direttore, sono solo alcune delle coordinate da elaborare per una buona riuscita dell’impresa.

Si parte dalla scelta dei microfoni, che è il primo passaggio fondamentale: qui si mette veramente in pratica quello che si è imparato nel corso dei due anni di lezioni. Le diverse tecniche stereofoniche, che consentono accoppiando due microfoni dello stesso tipo, di ‘leggere’ il panorama stereofonico con la prospettiva dell’ascolto umano, sono lo strumento principe di cui imparare varianti, uso, limiti e pregi, in questo caso messe alla prova dalla complessità del tessuto sonoro proprio dell’orchestra stessa.

Eccone alcuni esempi per chi non ne ha mai sentito parlare:

  1. La tecnica ORTF è una delle più utilizzate per registrare orchestre sinfoniche. Consiste nel posizionare due microfoni “cardioidi” (termine tecnico con cui si identificano microfoni che catturano il suono proveniente prevalentemente da una sola direzione) con un angolo di 110 gradi e una distanza di circa 17 cm tra le capsule. Questo setup ricrea fedelmente l’immagine stereo e l’ampiezza del palcoscenico sonoro, risultando ideale per ambienti acustici ben bilanciati. La ORTF è apprezzata per la sua capacità di combinare spazialità naturale e dettagli.

 

  1. La tecnica AB utilizza due microfoni “omnidirezionali” (termine tecnico con cui si identificano microfoni che catturano il suono proveniente da tutte le direzioni) posizionati a una distanza variabile tra 30/40cm fino ad alcuni metri. Questa configurazione è ottima per catturare il senso di ampiezza e profondità di un’orchestra, specialmente in sale da concerto con una buona acustica. Sebbene il rischio di problemi tecnici dovuti alla distanza tra i microfoni (il cosiddetto “sfasamento”) aumenti usando questa tecnica, ed è quindi necessario prestare attenzione alla distanza tra i microfoni e ad altri fattori per evitare cancellazioni sonore, la AB è la tecnica risultata sempre di gran lunga la più preferita dal pubblico e anche da molti addetti ai lavori, specialmente nei cosiddetti blind test.

 

  1. La configurazione XY prevede due microfoni cardioidi posizionati in modo che le capsule siano pressoché coincidenti, e orientate con un angolo compreso tra 90 e 135 gradi. Questo metodo è utile in ambienti con riflessioni sonore eccessive, poiché riduce i problemi di fase. E’ tuttavia molto meno efficace nel catturare una profonda sensazione di spazialità rispetto ad altre tecniche, e risulta quindi utilizzata solo in determinate situazioni.

 

  1. La tecnica Blumlein utilizza due microfoni bidirezionali (chiamata anche “figura di 8” perchè cattura il suono sia davanti che dietro al microfono, ma non dai lati) disposti a 90 gradi l’uno rispetto all’altro. Questo metodo è particolarmente efficace per registrare orchestre in ambienti acustici ottimali, poiché cattura una rappresentazione quasi tridimensionale del suono, includendo sia la sorgente principale che le riflessioni ambientali in egual misura.

 

  1. La Decca Tree è una configurazione più complessa, che prevede l’uso di tre microfoni omnidirezionali posizionati a formare una sorta di triangolo. Due microfoni sono disposti lateralmente, mentre il terzo è al centro, leggermente avanzato. Questa tecnica è largamente utilizzata per le registrazioni orchestrali professionali, offrendo una spazialità ampia e un bilanciamento ottimale. La sonorità prodotta è abbastanza caratteristica, ed è alla base di molte riprese orchestrali destinate alle colonne sonore.

Quelle che abbiamo citato sono solamente le tecniche stereofoniche “principali” (“main” in gergo inglese). Infatti, in genere sulla linea frontale dell’orchestra all’altezza del direttore, o nelle immediate vicinanze, si aggiungono poi un numero imprecisato di microfoni di supporto (“spot”, in gergo) su determinati strumenti, o intere “famiglie” degli stessi, che hanno lo scopo di integrare, rafforzare e definire il timbro e la percezione dell’ensemble totale.

Ciascun spot infatti, pur definendo da vicino il suono del proprio target, non è che un complemento al dettaglio globale, definito sempre dalla/dalle tecniche stereofoniche principali.

E’ il totale che conta quindi, e gli spot possono essere più o meno utilizzati, ma sempre in funzione di subordinazione rispetto ai microfoni principali.
Ogni diversa tecnica stereofonica impone una sua sonorità differente alla registrazione, ed il ruolo degli spot varia ogni volta di conseguenza: potrebbe essere il caso di usarne solo alcuni, o non utilizzarne addirittura nessuno, nel bilanciamento finale; il fine giustifica sempre i mezzi, nonostante il loro eventuale impiego.

Come avrete intuito, la complessità dell’operazione è decisamente alta e rappresenta un po’ il vertice e un punto d’arrivo della carriera di un ingegnere del suono (o “Tonmeister” come è stato battezzato in lingua tedesca). Tuttavia è utile che anche studenti che muovono i primi passi all’interno di questo mondo affascinante facciano esperienza di cosa voglia dire occuparsi di ripresa orchestrale. Durante le esperienze alla sala concerti “LAC” di Lugano ad esempio, le ragazze e i ragazzi del corso di Tecnico del Suono, dopo aver valutato ed effettuato il piazzamento dei vari microfoni nei molteplici ruoli sopra elencati, predispongono tutti i collegamenti dalla sala alle zone adibite a regia, eventualmente imparando ad utilizzare le linee di collegamento nei formati già esistenti della struttura ospitante. Anche questa parte è fondamentale per comprendere quali siano le dinamiche di interazione con la produzione. Questo lavoro infatti integra componenti tecniche, artistiche e (a volte soprattutto) relazionali.

La fase forse più emozionante per loro probabilmente è, durante la registrazione stessa (e ovviamente anche dopo), scoprire le combinazioni di microfoni più efficaci tra quelli già piazzati, e tentare dei bilanciamenti che rispondano maggiormente non solo a dei criteri di verosimiglianza con quello che loro stessi hanno potuto ascoltare direttamente in sala durante le prove, ma anche di capacità di emozionare: vale a dire di rendere la registrazione, anzi il suo risultato mixato in stereofonia, una rappresentazione efficace e coinvolgente della performance. Che è poi il mestiere del Sound Engineer.

Naturalmente, tutto questo è lo spaccato di solamente una delle attività e delle situazioni professionali a cui il CESMA prepara gli studenti: il mondo della fonia contemporaneo è quanto mai variegato, e si è chiamati a una versatilità notevole, sia riguardo alle tecniche che alla conoscenza della tradizione, che sia classica o moderna. Esperienze come quella del LAC sono una palestra fondamentale per preparare il Sound Engineer alle sfide che lo aspettano.

Giacomo De Caterini