Con questo articolo il Cesma inaugura il nuovo Blog che prevede la pubblicazione di brevi testi, destinati a tecnici del suono, dell’audiovisivo e aspiranti tali, che diano un’idea del tipo di insegnamenti che forniamo nei nostri corsi.

Ci auguriamo che questi brevi articoli possano essere piuttosto uno stimolo per tutti ad approfondire l’argomento.

Buona lettura!

I livelli audio, di Simone Corelli

Partiamo da lontano, dal VU-Meter o dal Peak Meter della BBC per esempio, affascinanti strumenti a lancetta ancora oggi in uso, nati principalmente per verificare il livello della voce nella telefonia e nella radiotrasmissione. Dovrebbe essere chiaro che i dispositivi elettronici hanno dei limiti che se superati, possono causare problemi anche gravi: se un registratore si aspetta segnali audio dell’ordine di 1 Volt e gli forniamo invece una bella sinusoide a 50 Hz prelevata dalla rete elettrica, quindi a 240 Volt, prenderà probabilmente fuoco; mentre fornendogli un segnale molto più debole, il fruscìo di fondo risulterà troppo forte e nasconderà il segnale.

Nel nostro esempio avremo anche zone di transizione, per esempio prima di raggiungere la distorsione, il nastro. Questa zona, che occupa una decina di decibel (dipende da come si misurano), permette una buona gestione di rapidi picchi di suono, ma non di note sostenute.

Ecco perché un indicatore di livello è necessario.

In ambito digitale succede qualcosa di simile: abbiamo una zona ottimale dove incidere note di livello stabile, ossia in vicinanza degli 0 dB FS, questo livello rappresenta il “soffitto” digitale che non si può superare. Molto più in basso di esso troviamo una zona sempre più deludente, in cui interviene in modo udibile la distorsione di quantizzazione, che “scaletta” esageratamente la morbida forma d’onda originaria. In questo ambito è importante non superare gli 0 dB FS in nessun campione digitale, ed è dunque molto utilizzato il cosiddetto Sample Peak Program Meter, o SPPM per brevità, dotato di indicatore rosso nel caso in cui si tocchi il suddetto pericoloso soffitto.

Date le differenze tra analogico e digitale, si usa allineare questi due mondi in modo che il livello di allineamento analogico corrisponda, su una sinusoide a 1000 Hz, ai -18 dB digitali (picco della sinusoide).

 

Ora che siamo entrati un po’ nell’argomento, fissiamo qualche definizione:

– Il livello di riferimento è quello che marchiamo sugli indicatori come 100%, ossia 1 (100 centesimi), ossia 0 decibel. E’ appunto il riferimento per le misure, il punto zero (dB), così come su un termometro indichiamo come riferimenti lo zero gradi celsius che è la temperatura a cui l’acqua ghiaccia, e i 100 gradi che è la temperatura a cui l’acqua bolle.

 

– Il livello di allineamento (AL), o livello standard operativo (SOL) è quello ottimale per trattare un segnale statico, come un acuto di un tenore o l’accordo finale suonato da un’orchestra, ossia il livello per cui siamo il più lontani possibile dal livello del rumore di fondo, e contemporaneamente non abbiamo distorsione udibile. In genere il livello di riferimento viene fatto coincidere con questo livello, ed è il motivo per cui molti fanno un po’ di confusione.

 

– Il livello massimo permesso (PML) è posto 9 dB più su del livello di allineamento, ed è quello tollerato per i picchi di segnale, misurandoli con uno strumento rapido come il QPPM (una sorta di vu meter veloce, come quello della BBC citato pocanzi, con tempo di reazione di pochi millisecondi rispetto ai 300 del VU-meter).

Fino a qualche decennio fa la differenza tra il livello dei massimi picchi e l’energia del segnale (RMS), che si chiama fattore di cresta, era naturale, poco manipolabile, e poneva quindi un certo tipo di limiti al livello percepito dall’orecchio umano, fissato un certo PML.

In seguito, con l’introduzione di “massimizzatori”, sorta di compressori multibanda, ha permesso di schiacciare il segnale più in alto, scatenando una guerra detta “loudness war”, cui oggi si cerca di porre un freno (ho collaborato anch’io al gruppo PLOUD della EBU) imponendo nelle trasmissioni audiovisive valori specifici di loudness ovvero di livello audio percepito. In Europa ad esempio ogni programma (come un film, un episodio di una serie, un documentario, ma anche una pubblicità o un trailer) viene usualmente allineato in modo che la sua loudness media sia pari a -23 LUFS (unità di loudness rispetto alla piena scala digitale). Sul web si usa un valore di solito più alto, per compensare la piccola dimensione degli altoparlanti di dispositivi mobili, ossia -16 LUFS .

 

Netflix usa un metodo più raffinato, che garantisce maggiore uniformità tra i diversi suoi prodotti, imponendo la misura della loudness solo nei passaggi contenenti dialogo ed imponendo un valore di -27 LUFS.

Se siete incuriositi dai diversi standard di livello intorno al mondo potete consultare un mio documento presente sul web all’indirizzo https://docs.google.com/spreadsheets/d/181K_2llN0eh6BhK3nZqkBgmEGkKU4ukr802LpLDdKeY/edit?usp=sharing

 Crediamo sia anche divertente visionare questo, su Youtube:

https://youtu.be/J54CUAreMpg

Sulla voce dell’indimenticabile doppiatore Renato Cecchetto è possibile vedere come si muovono differenti misuratori di livello.

 

La varietà di misuratori è giustificata dalle diverse esigenze. Come detto, nel digitale è importante non cercare di superare gli 0 dB FS in nessun campione, nell’incisione ottica analogica delle pellicole cinematografiche è invece importante non superare mai un certo livello per non rovinare i macchinari e non veder sbucare le forme d’onda nell’area destinata alle immagini, ma è anche importante usare i meters per identificare la presenza di certi segnali su un mixer, o per mantenere uniformità su una voce narrante di un documentario.

 

Dobbiamo fermarci qua.

Un cordiale saluto da Simone Corelli!